Amazon: un’occasione per riprogettare il territorio?
L’iniziativa organizzata da Jesiamo, Per Jesi e Patto per Jesi dal nome altisonante “Amazon: un’occasione per riprogettare il territorio – intermodalità, lavoro, sociale” ha suscitato la curiosità di molti Jesini, che orfani di tavoli per la comprensione del progetto in questi anni, si sono dovuti sorbire un caldo pomeriggio all’interno del palazzo dei convegni per accedere ad informazioni sull’opera e sulle ricadute nel nostro territorio.
Ma l’appassionante querelle di politici che a vario titolo hanno partecipato non ha fornito nessun tipo di informazione aggiuntiva su quelli che avrebbero dovuto essere i temi principali e che nel sottotitolo erano presentati come “lavoro, sociale”.
Invece di puntare ai temi importanti, di sicuro interesse per i partecipanti, si è voluto spiegare il concetto di intermodalità grazie soprattutto alla Professoressa Masutti, docente dell’università di Bologna che ha introdotto il tema dal punto di vista tecnico. Dopo la spiegazione dell’intermodalità, anche Baldassarri, che era in veste di presidente dell’ISTAO (una scuola manageriale di Ancona) e che è stato una figura di spicco dei governi di Centro-destra guidati da Berlusconi, ha notato quanto questa scommessa di creare un polo intermodale che colleghi sinergicamente Porto di Ancona, Aeroporto di Falconara e Interporto di Jesi, fosse una scommessa già ingaggiata dal territorio e persa. Infatti la costruzione dell’interporto, fu preceduta da mirabolanti studi dove la Vallesina veniva rappresentata come nei film di fantascienza, dove le merci avrebbero trovato la loro via in maniera ecologica e sostenibile.
Purtroppo chi non ha la memoria troppo corta sa come andò a finire, migliaia di metri quadri di cementificazione inutilizzati e un interporto finito dopo anni di problematiche esecutive e mai impiegato a pieno regime, per fortuna.
Eh si, ci voleva Amazon per riaccendere quei sogni invecchiati dal tempo e dalla realtà dei fatti.
Una nuova scommessa per il nostro interporto, ma non solo. Qui è in gioco l’intermodalità che coinvolge anche un aeroporto e un porto.
L’intermodalità è una metodologia di trasferimento delle merci che utilizza “unità di carico” standardizzate (in genere container) atte a poter essere facilmente spostate da un mezzo di trasporto (nave, camion, treno) all’altro per giungere a destinazione. Tutto questo, almeno per il nostro territorio si tradurrà in un aumento esponenziale dell’inquinamento della valle avendo già problematiche per il famoso “effetto camino” della valle.
La raffineria posta alla foce dell’Esino, le zone industriali e chiaramente lo smog e gli inquinanti già presenti nella valle hanno già il loro grande impatto nella vita di tutti noi.
Questo nuovo capitolo va a esacerbare ancora di più questo rapporto. Inoltre, chi vive questo territorio e non specula su di esso, avrà certamente notato i numerosi problemi amministrativi dell’aeroporto Dorico, dove ad ogni rivoluzione d’assetto si perdono servizi ed il parcheggio aumenta di costo. Cosa dire poi del collegamento ferroviario che non si innesta nell’aeroporto e dove non esistono treni per fornire la famosa intermodalità (infatti il collegamento con Ancona lo cura soprattutto Conerobus con gli autobus, molto meno ecologici dei treni).
Analizzando il porto di Ancona invece, ci si dovrebbe ricordare che il porto non può ospitare le grandi navi container per una questione di fondale, che non viene dragato e che ha quindi mano a mano ridotto le sue potenzialità. Per non parlare della stazione Ancona Marittima, inutilizzata e soppressa anni fa. Ma attenzione, i camion che escono dalle navi ormeggiate in Ancona, come raggiungono gli snodi stradali come l’autostrada?
Passando in mezzo alla città.
A Torrette di Ancona, la cittadinanza denuncia da anni questa situazione ma ancora i Camion sostano nei semafori diffondendo i gas di scarico che ammorbano anche l’ospedale regionale. Per non parlare della linea ferroviaria Orte-Ancona, dove il raddoppio della linea ha sempre destato grande interesse ma non ha mai superato la fase propositiva.
Il tiepido dibattito intorno all’intermodalità non ha descritto assolutamente l’ambiente, la storia e i processi a supporto di quella che dovrebbe essere una rivoluzione del mercato del lavoro della Vallesina. Siamo quindi di fronte all’ennesima celebrazione di successi che non ci saranno mai.
E cosa dire della multinazionale che ha deciso di creare il suo Hub intermodale nella Vallesina? Sappiamo già di tutte le lotte avviate nei luoghi dove Amazon ha posto la sua barricata a supporto del capitalismo di nuova generazione e di quanto sia effimero il successo di questo modello imprenditoriale. Il capitalismo 4.0, di cui Amazon sicuramente rappresenta il più grande artefice a livello mondiale, non ha più i confini tematici del passato unendo alla sempre presente logica del profitto a tutti i costi, la logica della spersonalizzazione sia dei lavoratori che dei dirigenti. Non esistono più le persone, sostituite mano a mano dai robot su cui Amazon sta puntando da molto tempo e in futuro dai droni per i quali già Amazon ha chiesto le autorizzazioni per avviare il progetto anche nell’Hub della Vallesina.
Non esiste più la sindacalizzazione se non di facciata. Ormai Amazon ha il potere di irrompere nei paesi che vuole colonizzare e crea i presupposti per cui questi si adeguino alla sua politica aziendale. E lo fa senza avere particolari vincoli dalle istituzioni, dalle persone e dagli organismi che dovrebbero essere preoccupati da questa tracotanza commerciale.
Si è gridato per l’ennesima volta al successo anche se i veri temi sul tavolo avrebbero dovuto essere la crescente deindustrializzazione della regione e della Vallesina stessa con la conseguente mancanza di prodotti da spedire, la mancanza delle figure professionali necessarie nell’Hub, la mancanza di un progetto di rafforzamento e sviluppo dei servizi necessari ai lavoratori nomadi che arriveranno per lavorare nell’Hub con un finale già scritto, ovvero un ulteriore ingolfamento degli stessi.
Ricordiamo infatti che la sanità nella nostra regione e in tutto il territorio italiano ha subito tagli da cui non si è più ripresa e che già non è sufficiente per la popolazione.
Di tutto questo non si è parlato perché si sarebbe dovuto prendere atto che questo progetto snaturerà ancora di più il nostro territorio, rendendolo inerme e succube di quella globalizzazione che ha già generato tutte le problematiche che la classe sociale più indifesa ha già subito. La delocalizzazione, presentata anni fa dai media come un avanzamento delle aziende locali, ha poi visto la cancellazione di migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo, banalmente a favore delle multinazionali sufficientemente strutturate per essere in grado di spostare rotativamente i propri stabilimenti dove il costo del lavoro è inferiore e dove la classe operaia non è riuscita a strutturarsi di pari passo o ha perso nel tempo le proprie difese sindacali.
Una guerra tra poveri che aggiunge un ulteriore capitolo con questo progetto che di faraonico avrà solo la finalità, una tomba per questo territorio.
FAI – Federazione Anarchica Italiana
Sez. “M. Bakunin” – Jesi
Sez. “F. Ferrer” – Chiaravalle
Comunicato Stampa del 17.06.2024